Anche in natura, mescolarsi è importantissimo. Gli ecosistemi si basano proprio sulla diversità: tutti hanno un ruolo e l’equilibrio finale è a vantaggio di tutti. Se manca il leone o lo squalo, così come se mancano le api o le microscopiche alghe, un habitat si distrugge in poco tempo. Biodiversità è una parola molto giovane, ha infatti meno di 100 anni e indica la varietà degli esseri viventi, tutte le differenze tra specie diverse, come tra una balena e un colibrì, tra una margherita e un baobab. Non solo, questo termine identifica anche le differenze tra individui della stessa specie che spesso non si vedono affatto: sono dettagli che sembrano irrilevanti ma che hanno una precisa ragion d'essere. Un esperimento lungo 3,8 miliardi di anni La biodiversità nasce con la differenziazione delle prime cellule che, 3,8 miliardi di anni fa, hanno dato origine alla vita sul Pianeta. Oggi gli scienziati sono riusciti a catalogare quasi 2 milioni di specie viventi tra animali e vegetali, funghi e alghe, batteri, archei e protozoi. Ma le stime parlano di almeno 10 milioni di specie viventi sul nostro pianeta; 8 milioni non le conosciamo ancora, eppure esistono intorno a noi, sono piccolissime e si trovano principalmente nelle foreste incontaminate o nei fondali oceanici ancora inesplorati. Le estinzioni di massa sono eventi “normali” sulla Terra. Negli ultimi 500 milioni di anni è già successo 5 volte: la vita è stata quasi spazzata via da cambiamenti climatici, glaciazioni intense, eruzioni vulcaniche e perfino dall’impatto di asteroidi. Ma è anche sempre rinata, dando origine a nuove specie che hanno ripopolato il Pianeta. Ecco perché la nascita e la scomparsa delle forme viventi sono meccanismi naturali che fanno parte dell’evoluzione. Meccanismi lentissimi: dopo ogni estinzione ci sono voluti milioni di anni perché la vita recuperasse quanto aveva perduto. Mentre in passato le cause sono sempre state naturali, oggi sono anche i comportamenti degli esseri umani a fare la differenza… Perdita di biodiversità in 5 mosse Tre quarti dell'ambiente terrestre e circa il 66% dell'ambiente marino sono stati modificati dalle azioni umane. I cinque fattori che stanno causando la perdita di biodiversità per cause antropiche (ovvero umane) sono: Oltre un terzo della superficie terrestre del mondo e quasi il 75% delle risorse di acqua dolce sono ora destinate alla produzione di colture o bestiame. Secondo il WWF, a livello globale, oltre un terzo dei pesci è soggetto a ritmi di pesca eccessivi, con metodi illegali, con la distruzione di habitat critici o con la cattura di specie a rischio estinzione. Il 60% degli stock ittici vengono invece sfruttati a pieno regime, mentre solo il 7% circa dei pesci è pescato in modo sostenibile. Dal 1980 le emissioni di gas a effetto serra sono raddoppiate, facendo salire le temperature medie globali: i cambiamenti climatici sono un grave pericolo per le specie selvatiche. L’inquinamento è aumentato di dieci volte dal 1980: 300-400 milioni di tonnellate di metalli pesanti, solventi, fanghi tossici, plastiche e altri rifiuti industriali vengono riversati ogni anno nelle acque del mondo. Le specie aliene invasive, cioè quelle trasportate dall’azione diretta o indiretta dell’uomo fuori dalle loro aree naturali, sono la principale causa di estinzione di animali e hanno causato un terzo di tutte le estinzioni conosciute. Anche se non ce ne accorgiamo, tutti i gesti quotidiani rischiano di aumentare la perdita di biodiversità; ripensare i nostri consumi significa anche rispettare meglio la natura.