Gli effetti del cambiamento climatico non si misurano in giorni o in settimane, ma in tempi più lunghi, spesso anche più della vita di una persona. Proprio per questo è nato il progetto fotografico-scientifico “Sulle tracce dei ghiacciai” di Fabiano Ventura di cui Enel Green Power è stata main sponsor fin dalla nascita. La comparazione fotografica, unita alla ricerca scientifica, permette di valutare le variazioni delle masse glaciali nel corso di un secolo con un unico, sconcertante, colpo d’occhio. Con 6 spedizioni nell’arco di dieci anni sui ghiacciai più importanti della Terra (Karakorum 2009, Caucaso 2011, Alaska 2013, Ande 2016, Himalaya 2018, Alpi 2020), il progetto ha realizzato nuove riprese fotografiche, dallo stesso punto di osservazione e nel medesimo periodo dell’anno, di quelle realizzate dai fotografi-esploratori di fine ’800 e inizio ’900. “Alla ricerca del passato per un futuro sostenibile”: questo il claim del progetto, che nel 2020 ha concluso la tappa delle Alpi dal versante italiano e che si avvia alla conclusione, con un’ultima spedizione prevista nell’estate del 2021 ancora sulle Alpi, ma sui versanti francese, svizzero e austriaco. Oltre 50 i confronti fotografici di 27 ghiacciai visitati in 6 diverse regioni e 23 i ricercatori coinvolti provenienti da 10 diverse istituzioni scientifiche. La spedizione di quest’anno ha attraversato in 45 giorni tutto l’arco alpino italiano, dalla Valle d’Aosta al Friuli Venezia Giulia, passando per il Monte Bianco, il Gran Paradiso, il Monte Rosa, il Bernina, l’Ortles-Cevedale, l’Adamello, le Dolomiti, le Alpi Giulie, per concludersi sul Gran Sasso, nell’Appennino Centrale. Realizzato con il supporto di un comitato scientifico internazionale, il progetto si è basato su una ricerca iconografica che ha coinvolto 70 archivi fotografici in più di 100 fondi tra musei, fondazioni, società geografiche, biblioteche nazionali e civiche di tutta Europa: la quantità delle fotografie trovate è stata così estesa da convincere Ventura a concentrare la spedizione del 2020 solo sui massicci italiani delle Alpi e di dedicarne un’altra, il prossimo anno, ai versanti esteri. Non sono mancate difficoltà pratiche: oltre a ritrovare, molte volte, paesaggi completamente cambiati, difficili da riconoscere e nei quali era complicato individuare il punto preciso da cui era stato realizzato lo scatto originale, non va dimenticata la quasi costante presenza del vento, con il cavalletto da stabilizzare sulla neve e le lastre fotografiche da cambiare. Qualunque errore avrebbe potuto compromettere l’intero lavoro, dei cui risultati si poteva essere certi solo una volta tornati in laboratorio per lo sviluppo dei negativi. Questi ostacoli, uniti a luoghi non sempre semplici da raggiungere con un’attrezzatura pesante e ingombrante, rendono i risultati del progetto ancora più preziosi. Gli effetti del cambiamento climatico A proposito degli effetti del cambiamento climatico Daniele Cat Berro, ricercatore della Società Meteorologica Italiana e uno dei climatologi più esperti delle Alpi Occidentali che collabora con il progetto, evidenzia come sia urgente un cambio di rotta: “L’analisi dei dati degli osservatori meteorologici dice che sulle Alpi nell’ultimo secolo le temperature sono aumentate di 2 °C, il doppio che nel resto del mondo, dove sono cresciute di 1 °C. Di conseguenza i ghiacciai alpini si sono ridotti come area del 60% in poco più di un secolo. Le simulazioni delle università svizzere dicono che sulle Alpi, entro il 2100, se non taglieremo le emissioni di gas serra, rimarrà meno del 10% del volume di ghiaccio attuale”. Di qui l’importanza del progetto di Ventura che, grazie a immagini drammatiche e straordinarie, racconta concretamente gli effetti del climate change portandoli all’attenzione del maggior numero di persone. Per esempio, il confronto con lo scatto dei fratelli Wehrli della parete est del Monte Rosa mostra l’enorme cambiamento che ha interessato il plateau del ghiacciaio del Belvedere. “Ormai il ghiacciaio si è sgonfiato come un panettone. - spiega Giovanni Mortara, del Comitato Glaciologico Italiano - Io ho avuto la fortuna di vederlo in grande espansione negli anni ’70. Sono incredibili le attuali trasformazioni, il ghiacciaio ha perso ormai decine e decine di metri di spessore e questo ha come conseguenza vistosissima soprattutto il collasso delle morene”. Realizzato lo scatto, le immagini ottenute con il laser-scanner da parte dei ricercatori Alberto Cina, Paolo Maschio e Marco Fronteddu del Politecnico di Torino consentiranno di creare un modello tridimensionale del ghiacciaio. I ghiacciai ormai irriconoscibili Davide Fugazza, dell’Università di Milano, spiega come i ghiacciai sulle Alpi stiano diventando sempre più neri, per l’aumento dei detriti causato dalla degradazione del permafrost. Eppure in questi ambienti esiste la vita: una vita che ancora non siamo riusciti del tutto a studiare e della quale non conosciamo fino in fondo il destino nel caso in cui il ghiacciaio a cui è legata dovesse sparire, cosa fondamentale per capire come la biodiversità delle Alpi sopravviverà. Roberto Ambrosini, biologo dell’Università di Milano, chiarisce: “Stiamo raccogliendo dei campioni per valutare se c’è contaminazione da microplastica anche su questo ghiacciaio e a quali livelli. Dopo la prima indagine che abbiamo fatto sul ghiacciaio dei Forni, in cui abbiamo dimostrato che la microplastica purtroppo ha contaminato anche le cime delle nostre montagne, stiamo allargando il nostro campo di indagine, per valutare quanto sia estesa e pervasiva la contaminazione anche sulle terre alte, sulle cime delle montagne da parte di questo contaminante che ha ormai inquinato un po’ tutto il mondo, dalle fosse oceaniche fino alle zone più alte del Pianeta”. La raccolta di dati come la temperatura dell’aria, la pressione atmosferica e la radiazione solare in ingresso, spiega Guglielmina Diolaiuti dell’Università degli Studi di Milano, offre informazioni cruciali per sapere quanta neve si accumula sulla superficie del ghiacciaio, che costituisce l’alimentazione dello stesso, e quanta energia c’è a disposizione per la fusione della neve in primavera e del ghiaccio in estate. “Quanto perde il ghiacciaio dei Forni a questa quota? Fino a 6 metri di spessore ogni anno. È come una villetta a due piani che non c’è più da un’estate alla successiva”. Il ghiacciaio Adamello, il più grande d’Italia, non se la passa molto meglio, e quello della Marmolada, forse tra i più iconici del nostro Paese, è uno dei primi destinati a scomparire: i dati dei ricercatori attestano una diminuzione dello spessore del ghiaccio che alla fronte si riduce dai 2 ai 4 metri l’anno, con un arretramento che raggiunge i 30 metri. Nelle immagini storiche di un secolo fa la sua superficie superava i quattro chilometri quadrati e formava un mantello ininterrotto che copriva tutto il versante nord: oggi si estende per poco più di uno e il suo spessore si è ridotto di molte decine di metri con le fronti arretrate di centinaia. Claudio Smiraglia, glaciologo, già presidente del Comitato Glaciologico Italiano e autore di numerose pubblicazioni, sottolinea: “Il contributo più importante, oltre ai dati raccolti direttamente dai ricercatori durante le varie missioni, è stata proprio la possibilità di avere un confronto tra ciò che erano i ghiacciai ieri - ieri vuol dire anche più di 100 anni fa - e oggi. Questo mi dà la possibilità non solo di osservare a livello qualitativo le differenze, ma spesso anche di fare delle analisi quantitative sul confronto, proprio perché le immagini di Ventura sono rifatte con le stesse tecnologie ed esattamente nello stesso punto topografico e geografico di quelle antiche. In queste immagini c’è sicuramente il fascino dell’arte e il contributo alla scienza”. Da ogni tappa è emerso lo stupore da parte di tutti i membri del team per le differenze riscontrate: toccare con mano gli effetti in maniera così plateale non può che contribuire a diffondere una maggiore consapevolezza dell’impatto sul clima delle attività dell’uomo. Un messaggio in bottiglia (e in fotografia) consegnato alle generazioni future.